Liza Fior dello studio muf architecture, svela in anteprima il progetto per il padiglione inglese alla Biennale di Venezia. Intervista di Beatrice Galilee Quest’anno il padiglione britannico a Venezia è un po’ misterioso. Intitolandolo “Villa Frankenstein” in riferimento al disprezzo di John Ruskin per gli edifici pseudoveneziani di Londra, i soci dello studio d’arte e architettura muf si sono autonominati “direttori artistici” di un’indagine intermetropolitana tra Londra e Venezia. Hanno proposto una serie di laboratori con numerosi collaboratori internazionali, tra cui Venice in Peril e ReBiennale, e ospiteranno corsi di disegno per le scuole locali e performance per il pubblico. Liza Fior, direttore di muf, spiega che cosa intendono fare.

  • Lei parla di un rapporto simbiotico tra Londra e Venezia. A colpo d’occhio non si vede facilmente: quali sono gli esempi di reciproca analogia tra le due città? (forse Londra sta metaforicamente andando a fondo?!)

Il rapporto simbiotico consiste più che altro nella convinzione che storicamente Venezia ha tenuto gli architetti inglesi in sua balia, con il risultato che Venezia è stata portata in patria e letteralmente inscritta nel tessuto edilizio britannico. La proposta di uno scambio bidirezionale, questa volta, rende il padiglione disponibile, per il periodo d’apertura della Biennale, a interessi e destinazioni d’uso veneziani. Ma a sua volta è uno strumento per esplorare un territorio comune, in particolare il modo in cui il particolare può dar forma a una strategia, il rapporto tra grande scala, visione e proposte a distanza (che Venezia stimola) e valore della visione ravvicinata. Siamo ben coscienti dei pericoli di quel che può andare perduto nella traduzione, da cui il titolo Villa Frankenstein, che fa riferimento alla disperazione di Ruskin di fronte all’influsso delle Pietre di Venezia sull’architettura della periferia londinese.

  • Il vostro lavoro spesso oscilla tra arte e architettura ed è comunque saldamente radicato nello spazio pubblico. Quale risposta avete dato a quelli che si potrebbero considerare i limiti di un padiglione e del quartiere espositivo di una Biennale?

Abbiamo considerato l’incarico come uno strumento per fare del padiglione uno spazio più aperto al pubblico, uno spazio per più di un evento contemporaneamente. Troppo rispettosi delle regole per collocare una scalinata che superasse la cancellata dei Giardini, abbiamo – istituendo una serie di rapporti – esteso il padiglione dentro Venezia e viceversa abbiamo creato dei modi per consentire alla città di penetrare dentro i confini dei giardini. Insomma abbiamo considerato l’incarico come l’occasione di un normale progetto di muf, strutturato sul processo, secondo i tempi del calendario della Biennale. Perciò non sappiamo, in questa fase, che cosa ne uscirà. Siamo molto attenti al valore dell’effimero come modo di riflettere sul permanente, e speriamo di aver dato qualche contributo al recente dibattito su come la Biennale e i Giardini possano diventare più “parte di” Venezia. Quanto al padiglione, ha molti vincoli – oltre a tutto era in contrasto con i regolamenti edilizi italiani – ma, partendo dal principio che l’uso suggerisce l’uso, lo abbiamo riproposto attraverso certe attività che vi si svolgeranno: per esempio corsi di disegno per le scuole di Venezia.

  • Ci parla dei suoi collaboratori? Di quali requisiti hanno dovuto tener conto?

Non c’è stato un vero e proprio brief, se non quello di chiarire la nostra intenzione di rendere disponibile il padiglione britannico per “metterlo a frutto”. Questo concetto è entrato nel gioco in vari modi, ma il collegamento tra le diverse collaborazioni è il filo conduttore comune consistente nel mettere in valore i particolari e la visione ravvicinata. Abbiamo iniziato mettendo insieme due organizzazioni, ReBiennale e il British Committee for Venice in Peril, all’apparenza diverse ma con interessi parzialmente coincidenti. Abbiamo rivisto gli adattamenti del padiglione con ReBiennale e disegnato sulla base di un progetto di ricerca sostenuto da Venice in Peril. Lavorando con Lorenzo Bonometto e Jane da Mosto abbiamo dato spazio a un esempio reale di vegetazione lagunare come stimolo al dibattito sul “Che fare?”, sulla base del rapporto di reciproca dipendenza tra città e laguna. Venezia è una piccola città e per vie personali abbiamo messo insieme collaborazioni come quella dell’artista Wolfgang Scheppe, residente a Venezia, che sulla falsariga principale dello scambio reciproco, ha accostato pagine dei taccuini veneziani di Ruskin (uno dei pochi elementi fatti venire dalla Gran Bretagna) con documenti fotografici inediti di Venezia realizzati da residenti. È un padiglione Made in Venice, costruito a Venezia da Spazio Legno, carpentieri che costruiscono anche barche. Nel padiglione c’è anche il film Vogliamo anche le rose della regista Alina Marazzi. Tornando alla Gran Bretagna abbiamo lavorato con la Ruskin Library e la Women’s Library, il personale del British Council ci ha dato un sostegno straordinario, tutto il materiale grafico è stato realizzato con Objectif, i tecnici di Atelier One, l’artista Lottie Child e il nostro più che editorialista Adrian Dannatt.

  • Come sono stati distribuiti i concetti nella mostra? Mi pare di capire che ci sarà poi un catalogo? Ci sono anche altri modi di interagire nel corso della Biennale?

Nel corso della Biennale ci saranno dibattiti sul futuro della laguna e della stessa Venezia, dato che la salute di una dipende dall’altra. Ci saranno corsi di disegno per le scuole veneziane ogni giorno a partire da metà settembre, all’inizio delle scuole. Il catalogo viene pubblicato in tre parti per riflettere le attività del padiglione. Il contributo di Wolfgang Scheppe viene pubblicato con il titolo THE DONE.BOOK in occasione dell’inaugurazione. Gli adattamenti del padiglione saranno riciclati: stiamo usando questi tre mesi per trovare una sede per l’installazione in dicembre. Certe modalità di interazione con il padiglione si realizzeranno non solo a Venezia ma anche in Gran Bretagna: per esempio il Forum for Alternative Belfast sta svolgendo laboratori di mappatura a Belfast e a Venezia (con gli studenti dello IUAV). Una guida per imparare a muoversi nelle strade di Venezia e di Whitechapel con l’artista Lottie Child. Stiamo trasferendo delle lezioni da Venezia al lavoro che stiamo realizzando a Londra intorno al quartiere olimpico, usando Venezia come caso di progetto per lo spazio dei bambini. I particolari degli eventi londinesi saranno sul sito web che apriremo alla fine di agosto.